Oblivion
Oblivion, gli equilibristi della risata

Oblivion, gli equilibristi della risata

[Aosta] Cinque artisti che cantano ballano e si mischiano come un mazzo di carte

Sono equilibristi, gli Oblivion. Il loro esercizio è difficile, difficilissimo: stare sospesi su un filo sottile, teso tra ciò che tutti sanno e la sorpresa. Partire da terreni noti per arrivare in luoghi inaspettati, esibendosi in un balletto esilarante così perfetto da far dimenticare tutta la fatica che costa stare in equilibrio. A volte l’incanto si interrompe, però, e appare lampante quanto siano bravi, capaci, preparati. Il pubblico è spesso troppo impegnato a ridere, o a riprendere fiato, per accorgersi di quanto tutto funzioni a meraviglia: i cinque cantano, ballano, si mischiano come fossero un mazzo di carte per trovare combinazioni sempre nuove, sempre vincenti.

Il loro territorio è il confine: quello tra la cultura alta (Dante, Leopardi, Omero, Manzoni) e il contemporaneo, il quotidiano, il comico più esplicito. Giocano con la musica, anzitutto, ma anche con le parole, con le espressioni, con loro stessi: le canzoni che tutti abbiamo cantato, ascoltato o suonato prendono forme nuove, si fanno storpiare, diventano tessuto per vestiti nuovi. Ci sono le dirette dai campi di battaglia e i trailer poetici, ci sono i radical chic e il Burlesque che diventa Berlusque, ci sono Pinocchio e Lady Gaga. Tutto incastrato a meraviglia, in un meccanismo che non lascia scampo e fa capire il perché del loro successo. Con una prospettiva intelligente e spassosa, che fa lavorare il cervello nel modo migliore, quello della risata. Tutto senza perdere di vista quello che succede, e quello che è successo: svestire i luoghi comuni dei panni di sempre, per dare un senso nuovo a quello che già conosciamo. Come quando lo sguardo verso il passato si copre di una nostalgia miope: “Quando c’era lui, i treni arrivavano in orario. Ma i treni andavano a Mauthausen. E’ meglio che i treni arrivino in ritardo”.

Davide Jaccod (La Stampa)

 

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