Oblivion
‘La Bibbia riveduta e scorretta’ degli Oblivion, come ti stampo la biografia di Dio

‘La Bibbia riveduta e scorretta’ degli Oblivion, come ti stampo la biografia di Dio

Caino che uccide Abele per aver perso la sfida culinaria di PaternosterChef. Noè che costruisce l’Arca assemblando assi e viti in stile Ikea e sua moglie che, esasperata, decreta l’estinzione dei dinosauri colpevoli di lordare di cacca l’imbarcazione. Un radiocronista che racconta il duello tra Davide e Golia con l’enfasi di un biblico Galeazzi. Gesù che è un rapper un po’ scapestrato, si fa chiamare JC, scrive fantasy (ma conta su quattro ghost writer ufficiali e altri apocrifi), beve birra Corona alla spina, ha un conflitto generazionale col Padre, cura il fisico con lezioni di Ponzio Pilates e si gioca la libertà con Barabba a testa o croce (“La croce è per me…”).
L’ultima scommessa degli Oblivion – il geniale quintetto che ha legato il suo successo a celebri parodie come I Promessi Sposi in dieci minuti, a riusciti mashup canori tra autori diversissimi, alle ‘cazzottissime’ che frullano canzoni come se i pugni facessero saltare la puntina del giradischi, ai ‘juke-box umani’ e a spettacoli capaci di mescolare musica, ironia, virtuosismi vocali, riferimenti colti – è nientemeno che la Bibbia.
Si intitola proprio La Bibbia riveduta e scorretta il primo musical del gruppo, un lavoro che mostra un balzo da giganti nella qualità e nella sostanza della produzione obliviana. Perché, dopo un lungo e proficuo rodaggio nei loro spettacoli precedenti, collane di perle teatral-musicali la cui perfezione era tenuta insieme dal ritmo e dal contesto, senza la necessità assoluta di una trama da seguire, i cinque si misurano con la difficoltà di creare una storia complessa e di raccontarla con coerenza dall’inizio alla fine, affrontando la compresenza dei registri cantato-recitato senza cadute di tensione e salti narrativi. Una sfida vinta su tutti i fronti: il copione, le parti musicali (tutte originali), la presenza scenica, il continuo esercizio mentale cui il pubblico è sottoposto da battute, citazioni, rimandi di particolare raffinatezza e che viene premiato da risate e applausi a scena aperta.
La vicenda è ambientata nel 1455 a Magonza, nel laboratorio dove Johannes Gutenberg (Davide Calabrese) ha appena inventato i caratteri mobili e, assistito da Frau Schöffer (Graziana Borciani), cerca il primo libro da dare alle stampe. Tra gli aspiranti scrittori si presenta Dio in persona (Fabio Vagnarelli) che vorrebbe pubblicare una sorta di autobiografia scolpita nella pietra: la Bibbia.
Comincia così un braccio di ferro tra l’autore e lo stampatore su cosa possa piacere ai lettori e cosa dunque debba essere riscritto: tra la rievocazione di episodi (noti o inventati) delle Scritture, costellati di gag e canzoni travolgenti, appare un altro candidato, Gesù (Lorenzo Scuda), protégé della finanziatrice dell’opera, Frau Fust (Francesca Folloni). Il suo ingresso accompagna gli spettatori nel Nuovo Testamento e la conclusione ‘filosofica’ dello show, sempre con il consueto contorno di deviazioni, link, acrobazie verbali che non tradiscono la cifra degli Oblivion: una fresca leggerezza con la quale i cinque ammantano impegno e spessore culturale, un’ironia dal sapore dissacratorio che rende frizzanti e digeribili argomenti ‘rischiosi’ come quelli religiosi. Il risultato sono quasi due ore di spettacolo che trascorrono senza che il pubblico se ne accorga, saldamente ancorato al racconto e ai virtuosismi del quintetto. Virtuosismi mentali, vocali e anche fisici. Perché gli Oblivion salgono e scendono continuamente da tavoli e sedie, sempre in movimento, come la loro creatività. Ci vuole un fisico bestiale anche per riscrivere La Bibbia.

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