Oblivion
Ciclone Oblivion: risate all’antica. I fenomeni della comicità sbancano Fiorenzuola

Ciclone Oblivion: risate all’antica. I fenomeni della comicità sbancano Fiorenzuola

FIORENZUOLA – Sono come bambini, gli Oblivion, perché sanno giocare e lasciarsi andare. Ma a differenza dei bambini, hanno la memoria di un secolo di musica e di 60 anni di televisione italiana, conoscono e padroneggiano i diversi generi espressivi, e li mixano e calibrano al meglio nel loro nuovo spettacolo Oblivion. Sussidiario 2.0, un compendio di letteratura, musica, storia e canzone, tra immaginazione ed evocazione.

Ritmi perfetti e un affiatamento incredibile, per il quintetto di artisti Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli. Meritata ovazione per gli Oblivion, al Teatro Verdi di Fiorenzuola, che li ha visti esibirsi sabato sera in due ore di rutilante spettacolo, in cui non si sono risparmiati, conquistandosi applausi a ripetizione. Con loro è diventata una festa, l’ultimo appuntamento della stagione musicale organizzata dal Comune. Anche gli affezionati degli Oblivion, chi li ha seguiti sul web, chi nella tournée dell’anno scorso, non è rimasto deluso: ha ritrovato i cavalli di battaglia (i Promessi sposi in dieci minuti concessi nel bis) ma anche materiali nuovi da inserire nel continuo zapping di generi musicali, giochi linguistici, esercizi di stile. D’altra parte gli Oblivion continuano a sperimentare. E’ questa la loro forza. Si muovono agevolmente in pieno scenario post-moderno, con i contenuti di tv, musica, cinema, che si mischiano tra loro. E nel patchwork si crea qualcosa di nuovo. Tornano i giochi semplici che si fanno da bambini: il mimo, ad esempio, con le straordinarie canzoni per non udenti di Davide Calabrese, o l’esilarante Cazzottissima, con la canzone che salta, interpretata dalle schitarrate del gruppo scout.

L’effetto comico si raggiunge così: stravolgendo quel che è familiare. Gli Oblivion usano tutta la nostra cultura popolare o quello che abbiamo imparato sui libri di scuola, senza alcun rispetto per gli steccati tra alta e bassa cultura. Prima ancora che il sipario si apra, rivelano le regole del loro gioco e chiedono al pubblico di stringere un patto: le poesie che in tanti hanno imparato a memoria – L’Infinito o la Cavallina Storna – diventano trailer di film da botteghino. Prima regola: tutto è concesso. Anche “massacrare” la più celebre poesia di Leopardi. Intanto però, la si tiene a memoria. Anche i vizi e i tic della società, entrano nel gioco. Il Sussidiario 2.0 si vena così di accenti satirici: nel brano in stile Bollywood (che rivela le doti di danzatori dei cinque straordinari cantattori) si prende in giro la moda yoga; nell’omaggio al Caffè Chantant ecco che il Burlesque diventa Berlusque; in quello finale dei radical–chic, i nostri prendono in giro persino se stessi, che conoscono bene ciò che “fanno a pezzi”, che sia un capolavoro della letteratura o una partitura musicale. Tanto devono al Quartetto Cetra. Furono loro per primi, negli anni ’60, nella Biblioteca di Studio Uno, a parodiare i capolavori della letteratura, facendolo con stile, dosando la contaminazione tra linguaggi diversi. Di questo teatro leggero, di questo varietà, sono degnissimi eredi gli Oblivion, che nel tempo hanno ampliato il loro vocabolario musicale, inserendo generi come il rap (la versione di una Zebra a pois) o la tecno (l’istituto tecno che lancia una frecciata a Mariastella). Medley di canzoni trasformate, storpiate, ricomposte, raccontano le Avventure di Pinocchio o la Divina Commedia. Strabiliante la bravura dei cinque, perfettamente misurati l’uno sull’altro, come dimostra l’esercizio della vocalist, che canta solo le vocali, incastrandosi con la consonant. Trovata geniale, il gioco dei bussolotti, che cantano Eros Ramazzotti nella polifonia tipica dei canti sardi; o Rose rosse in stile Beach Boys, o Lady Gaga mischiata a Bach. Si prende in mezzo persino papa Ratzinger, che fa l’”ora pro nobis”, con i testi di Zucchero. Si spingono oltre, i nostri, travestendosi da Balilla d’epoca fascista che paiono all’inizio rimpiangere lui (il profilo del Duce stilizzato sul fondale) ma al termine ci lasciano di sasso, mostrandoci un treno destinazione Mauthausen. Sono coraggiosi, oltraggiosi, dissacranti, gli Oblivion; superano se stessi e non si prendono mai troppo sul serio.

Proprio come i bambini.

Donata Meneghelli (Libertà)

 

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